domenica 9 luglio 2017


Torino.  “Radio Therapy”.
5 agosto 2016.
“Ben sintonizzati su Radio Therapy, la prima radio che parla direttamente al vostro cervello. Qui potrete ascoltare voi stessi canticchiare dall’interno di una inquietante maschera di plastica le vostre hit preferite, oppure dedicare alle vostre morose gli evergreen dell’amore, quali “only you” dei Platters, “mi sei scoppiato dentro al cuore” di Mina oppure, per i tipi originali che vogliono mandare un messaggio chiaro alla loro ex: “adius” di Piero Ciampi… (che vedete qui sotto...)"

Così mi immagino da poco più di due settimane che potrei iniziare queste sedute. Dunque, il procedimento è semplice: ti chiamano all’altoparlante della sala d’aspetto, entri in uno spogliatoio dove ti prepari, poi ti richiamano da dentro, se sei un tipo educato saluti, se sei un tipo “ok” scambi anche un paio di battute con i tecnici (alla lunga però capisci che non puoi essere originale e senti che quella battuta ti è venuta un po’ “così”, che quell’altra chissà quante volte l’hanno sentita, e così via…), ti sdrai sul lettino di metallo, appoggi la testa su un cuscino speciale che segue la curva del tuo cranio ed ha una larghezza di circa 15 cm, una sorta di mezzaluna, poi ti mettono la maschera personalizzata (ne abbiamo già parlato), e parte la “trasmissione”: “siamo in onda su Radio Therapy, la prima radio che trasmette direttamente sulle onde del vostro encefalo, sul 88.90 delle onde Teta e 100 sulle onde Gamma…”
Le sedute durano una decina di minuti, in cui si sente un suono come quello che producevano i vecchi 386 direttamente dal case, come quello di un pc quando si impalla, e il macchinario che si muove attorno a te. Non è simile ad una TAC, perché non si entra in un tunnel, tubo, dir si voglia, ma è come una grossa lampada da dentista con un puntatore laser. Poi, finita la seduta, ti tolgono la maschera, e te ne puoi andare. Tutto qua. Semplice, lineare, non c’è da aver paura. Se non che durante la prima fase è prevista una regressione di tutte le capacità che avevi faticosamente recuperato nel mese e mezzo precedente, perché si andranno ad infiammare anche i tessuti prossimi al residuo di tumore. Messo in conto. Non mi spavento mica, tanto “ho fatto talmente tanto in quel mese e mezzo che non si noterà nemmeno…”. Così torno a parlare come un robot (anche se tutti gli amici e i familiari mi dicono che non è vero, io sento una regressione almeno di un mese di lavoro, non ho anomie, posso tranquillamente fare discorsi di qualsiasi genere, tranne quando sono stanco, ma nella fluidità ho perso molto), e la gamba lavora come lavorava qualche settimana fa, con momenti di ipertono, trascinandola, e la caviglia non lavora più come quando avevo lasciato Rodello. La mano invece ha perso tanta forza, ma tenendo duro col pianoforte e il contrabbasso sento che non regredisce come le altre funzioni. Non dimentichiamo che è stata la prima a recuperare. Quindi, questo il bilancio di 12 sedute di Radio Therapy. Un po’ più di un terzo, quasi metà ciclo, che prevede 30 sedute. Ma tutto come da copione, la dottoressa ha detto che nella seconda metà del ciclo dovrebbe esserci un miglioramento delle funzioni, e quindi di non spaventarsi. Speriamo. Io intanto continuo con le mie camminate (con mio padre e mio fratello martedì ci siamo fatti un’ora e venti in giro per Torino, li ho fatti sudare, tanto che hanno valutato l’idea di regalare a Giulia uno di quei baracchini a due ruote elettrici su cui ti muovi semplicemente avanzando col baricentro, perché anche lei fatica a starmi dietro), e gli esercizi che mi ha lasciato Daniele, il pianoforte cui ho affiancato un programma di recupero sul contrabbasso, e tra un pisolino e l’altro la lettura. Non mi fa più piacere, anzi lo trovo una penosa pena il sentire al telefono gli amici, perché sebbene provi piacere nel sentirne la voce, il fatto di non sentirmi fluido mi provoca ansia, ansia da prestazione, che è un po’ il mio problema, e mi deprimo. Quindi tengo spesso il telefono offline e comunico più che altro per messaggi. In più ho le chemioterapie, tre pillole da prendersi alle 10.30 del mattino. Che sommate alla terapia anti-epilettica (tre pillole al mattino più quattro la sera), all’anti-depressivo (una pillola la mattina assieme all’anti-epilettico), al cortisone (32 gocce al mattino assieme alla terapia anti-epilettica e all’anti-depressivo), al gastroprotettore (mezz’ora prima di tutte le cose già elencate), all’anti-emetico (mezz’ora prima della chemio terapia): mi danno un bisogno di dormire assurdo. Allora ho organizzato la mia giornata così: sveglia alle 7.30 (la notte seppure vada a letto sempre con un sonno micidiale non dormo mai più di due ore di seguito, guardo continuamente l’ora e mi riaddormento, ma mi accorgo che mi sveglio sempre riposato e anche prima della sveglia, quindi va bene), gastro-protettore sul comodino; scendo a prepararmi la colazione che consiste in: una banana, un caffè-latte con due tipi di biscotti integrali (una quantità incalcolabile), 4 fette biscottate integrali con marmellata/crema di nocciole. Devo pur sempre fare i conti con il cortisone e devo tirare fino all’ora di pranzo perché il Temozolomide, ossia la chemioterapia, ha bisogno di essere presa con almeno due ore di stomaco vuoto perché venga assorbita meglio dal corpo e con un’ora di fame atavica dopo per la stessa ragione. Dopo colazione inizia il balletto delle medicine: anti-depressivo, anti-epilettico (due pillole da una scatola e una da un’altra) e cortisone. Poi scrittura (come stamattina) o pianoforte o passeggiata se Giulia è sveglia con ginnastica varia dopo, o copia delle parti per il disco che ho programmato di fare. Arrivano così le 10, anti-emetico che mi protegge dalle nausee che potrei avere con la chemioterapia, mezz’ora dopo la chemioterapia. Poi per un’oretta passeggiata se non l’abbiamo già fatta (e sono sempre legato ai miei compagni di ventura per le crisi epilettiche che potrei ancora avere) altrimenti un po’ di pianoforte, un po’ di lettura, fino alle 11, quando mi appisolo sul divano. Alle 11.45/12 pranzo, che consiste in cibi sani e nutrienti, facili da digerire, tanta verdura e frutta, che data la stagione (agosto) ce n’è in abbondanza, legumi, riso, pasta integrale. Ho notato che quando mangio cose di questo tipo il mio corpo reagisce meglio a quando mi lascio andare a gozzoviglie varie perché siamo ospiti di qualcuno, si va a mangiare fuori o perché ospitati. Alle 12.30 andiamo in ospedale, radio terapia alle 13/13.30 (c’è sempre una mezz’ora di variante in queste cose), poi a casa pisolino fino a quando riesco. Verso le 16 merenda, con una tisana e biscotti, 16.30/17 studio un po’ di contrabbasso (voglio riprendere il prima possibile con la mia vita), quanto riesco perché con una gamba che “pigola” viene presto mal di schiena. Alle 18 mi metto al pianoforte o usciamo un po’, a fare la spesa, prendere il pane, insomma fare due passi, 19 cena (stesso ragionamento del pranzo). 20 terapia anti-epilettica che consiste in tre pillole di un tipo e una di un altro, 20.30 film o libro, 22.30 distrutto a letto.
Ho notato che ho bisogno proprio di riposo in questa fase, e di fare cose con un certo ordine, disciplina, di non perdermi via, e se potessi essere indipendente sarei più soddisfatto. A Rodello il fatto di poter andare in palestra quando se ne aveva voglia, il fatto di dipendere da qualcuno che c’è sempre ed è sempre sveglio e al tuo servizio, mi aveva fatto dimenticare quanto la dipendenza da qualcuno che non ha i tuoi ritmi sia pesante. Ora non dico che Giulia debba essere al mio servizio, non sarebbe mia moglie e non lo vorrei, mi sembrerebbe di sfruttarla e mi sentirei in colpa, ma se tu hai un ritmo e la persona da cui in questo momento dipendi ne ha altri può essere frustrante, e il non volerne discutere perché ti sentiresti un peso per questa persona lo è altrettanto, e quando ti fermi a pensare e capisci che questa persona e tutte quelle che ti stanno attorno stanno mettendocela tutta per non farti pesare il fatto che si danno da fare per te, entra in gioco la propria volontà di indipendenza e punti i piedi in terra e fai o dici cose di cui ti penti subito, ma proprio per questo giochino dell’indipendenza ci metti un po’ a chiedere scusa e a rassegnarti alla tua nuova identità: malato.

4 commenti:

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  2. Ciao Simone
    In spagnolo distinguiamo meglio che in italiano l'essere dallo stato. Così diciamo che "stai" malato, mai che sei malato. La malattia è uno stato sempre. Tu lo dimostri con questa meravigliosa vitalità che spruzzi in ogni parola del tuo racconto.
    E allora diciamo che "sei" malato di vita e, ti prego, continua a contagiare tutti noi, ne abbiamo bisogno.
    Grazie.

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