domenica 23 luglio 2017


Torino. Dopo la quattordicesima seduta di radioterapia.

Lunedì (agosto 2016). Siamo alla seconda metà di queste sei settimane. Venerdì scorso ho avuto l’ennesima crisi epilettica. La quarta della “nuova” serie (cioè quelle dopo le due iniziali), sempre con convulsioni e senza perdita di coscienza. Caso vuole che queste crisi siano sempre più o meno alla stessa ora, le 16/16.30. E sempre quando mi metto in testa di studiare un po’ il contrabbasso. Sarà un caso? Sarà l’anima di Bottesini o di Dragonetti che mi manda queste scariche in modo che non inizi nemmeno? Non so dovrò investigare… Sabato poi, dopo che avevo finito di aggiornare il diario mi sono messo le mani nei capelli e ho ritrovato le dita piene di, appunto, capelli. Ho provato di nuovo e l’effetto è stato lo stesso. Tanto che ho cominciato a capire. Stavo perdendoli. Di colpo, così, come le crisi epilettiche, ti sorprendono e non lasciano scampo. Così ho cominciato a perdere i capelli. E se per me è stato traumatico, non voglio nemmeno immaginarmi per una donna cosa voglia dire alzarsi una mattina, mettersi le mani tra i capelli e ritrovarsi come una gatta che perde i peli, con l’unica differenza che la gatta ne ha altri sotto mentre a noi resta un buco. Ho optato subito per la “pelata” totale. Sono andato da mia cognata che me li ha tagliati con la macchinetta del marito. Mi sono lasciato la barba però, come un vero hipster che per non mostrare le calvizie o la stempiatura da quarantenne che vuole fare il giovane si taglia tutto e decide improvvisamente di seguire la moda, e allora te lo vedi con quei ridicoli pantaloni col risvoltino, le bretelle (che quando le portavo io ero uno “sfigato” mentre ora che vanno di moda se non le porti lo sei) e camice abbottonate fino al collo. Ah dimenticavo gli occhiali, che anche se non ne hai bisogno devi farteli fare, magari con dei semplici vetri sopra, se no non sei cool. Ma vaffan-cool.
solo uno dei tre ha un cancro... quale?






Dopo questa parentesi, torniamo al discorso iniziale: la prima metà di radioterapia più chemioterapia. Siamo alla quattordicesima seduta, ho preso il temozolomide (la chemio) 21 volte (perché a differenza delle radioterapie lo si prende anche il sabato e la domenica). Comincio a risentirne fisicamente, soprattutto il venerdì e il sabato, con l’effetto “accumulo” sono più stanco, dormirei tutto il giorno, la gamba è meno “collaborante” e così anche la parola. Devo stare attento a quello che mangio, per non avere nausee mangio sempre più controllato, evito il latte e i suoi derivati (LSD…) e bevo, la mattina, latte d’avena. Che non è veramente latte, ma un drink fatto con acqua, farina d’avena, e altri ingredienti che lo fanno somigliare, anche se solo lontanamente, al latte. Sono passato a dei cereali integrali, ho eliminato il caffè, ma sono rimasto ad un numero indefinibile di biscotti, poiché nel frattempo mi hanno, per via delle crisi epilettiche, raddoppiato la dose di cortisone, perciò ho una fame ancora maggiore di quella che avrei solitamente essendo un “suonatore” (nell’albese si usa dire quando uno ha tanta fame che ha una fame da suonatore). Questa dose doppia di cortisone dovrebbe servire a ridurre l'infiammazione delle zone interessate dalla radioterapia e provare così a porre freno a questa angosciosa routine di una crisi quasi settimanale.

Quindi, tutto sommato, ho fatto il giro di boa nel migliore dei modi possibili, o per lo meno nel migliore dei modi che ci eravamo immaginati. Sono contento. Stanco ma contento.



E ora vi saluto per un mesetto, anche essere malati è un lavoro, e ho diritto ad un po' di ferie! Ma vi lascio un regalino, potete trovare il disco WITH A STAR IN THE BRAIN in tutti gli store digitali, in formato digitale ad alta definizione! A questi link i principali:


martedì 18 luglio 2017

Radio Therapy pt.2


Quando ho ricevuto la lettera dall’INPS dove mi riconoscevano una invalidità civile al 75%, permanente con obbligo di visita dopo un anno per il rinnovo, ho avuto una strana reazione. Sono incazzato, perché ho voglia di lavorare. Mi ha messo in crisi la parola “permanente”. Nello stesso modo in cui mi aveva messo in crisi la parola “maligno” nella richiesta del medico di Rodello quando gli ho chiesto di compilare la scheda proprio dell’INPS. Prima di allora non era mai stata utilizzata quella parola, e nemmeno avevo mai chiesto se fosse un tumore “benigno” o “maligno”, perché inutile saperlo, era da operare e basta, e perché sotto sotto non ne conoscevo la differenza, e avevo paura della parola “maligno”. Perché tutte le volte che l’avevo sentita associata alla parola “tumore” veniva pronunciata sotto voce, con una sorta di emozionante paura mista a reverenza, come se con il rispetto dato dal pronunciare queste parole si potesse evitare di invitarle a casa propria o per lo meno che ti toccassero. Perché erano sempre, e dico sempre, associate ad una morte. Be’, la lettera dell’INPS mi mette in crisi perché sebbene nel mio caso è più che giustificata, sento il bisogno di lavorare, l’unica volontà che ci differenzia dal mondo animale secondo la visione umanesimo socialista di Fromm. E tanti sarebbero più che felici di avere un assegno (che ad oggi non so nemmeno di quanto sia) non facendo nulla. Sento il bisogno di comprare un altro archetto, perché investendo nel mio lavoro so che non mollerò, mi sento come un bambino di fronte ad un gioco nuovo, che si entusiasma per giorni. Tutte le volte che sono entrato in crisi cominciavo a girare su internet cercando qualcosa che mi permettesse di lavorare meglio. Lo shopping costa meno delle terapie, è scritto in una vetrina davanti a casa, ma lo shopping quello non banale fatto di scarpe, vestiti, beni che lasciano un po’ il tempo che trovano, lo shopping per il tuo lavoro, quello sì che è come una terapia. Magari non è vero che costa meno… Tant’è che alla fine ho speso 2500 euro per un archetto...




“Ma torniamo a Radio Therapy, le frequenze che lasciano il segno fin nel cervello. Ora va in onda la canzone “La radio”, di Eugenio Finardi; che recita: “Con la radio si può scrivere, leggere o cucinare…”, e affermiamo che NON È PER NIENTE VERO! Con la radioterapia c’è da stare immobili, ti mettono una maschera immobilizzatrice apposta… Ed ecco ora un bell’articolo dal sito dell’AIMAC, Associazione Italiana Malati di Cancro, per chi volesse approfondire un po’ l’argomento.”




Riporto qui sotto per intero dal sito l’articolo:
“La radioterapia consiste nell’uso di radiazioni ad alta energia per distruggere le cellule tumorali, cercando al tempo stesso di danneggiare il meno possibile le cellule normali. Per i tumori cerebrali la radioterapia si può effettuare:
  • dopo l’intervento chirurgico per distruggere il tessuto tumorale che non è stato possibile asportare e per eliminare le cellule neoplastiche eventualmente rimaste in circolo anche dopo l’asportazione del tumore;
  • nel caso in cui la malattia si ripresenti dopo la chirurgia;
  • nel caso in cui si tratti di tumori secondari.
Spesso rappresenta una delle poche alternative terapeutiche per i tumori inoperabili. La seduta di trattamento si esegue presso il centro di radioterapia dell’ospedale, ripartita in sessioni giornaliere (tranne sabato e domenica). La durata del trattamento dipende dal tipo e dal grado della malattia e può variare da una a sei settimane. Durante la seduta si rimane soli nella sala, ma si può comunicare con il tecnico che controlla lo svolgimento della procedura dalla stanza a fianco. Prima di iniziare il trattamento il tecnico vi sistema sul lettino nella giusta posizione; per ottenere la maggiore efficacia possibile dal trattamento è necessario rimanere fermi fino al termine della seduta. Per aiutarvi a mantenere la posizione corretta si può ricorrere ad un sistema di immobilizzazione e contenimento con una maschera di materiale termoplastico, precedentemente confezionata e personalizzata. La maschera consente di vedere e respirare normalmente, ma potrebbe risultare inizialmente fastidiosa e provocare anche un senso di soffocamento dovuto alla sensazione di claustrofobia. Data la brevità della sessione di trattamento, la maggior parte dei pazienti si abitua facilmente. Ottenuta così la giusta posizione, gli operatori escono dal bunker lasciandovi soli per l’intera durata della seduta. Il tecnico aziona la testata dell’acceleratore lineare che, ruotando intorno al lettino, raggiunge la posizione corretta per dirigere le radiazioni sull’area da trattare. In caso di problemi, un apposito sistema audio-video consente di comunicare facilmente con gli operatori. L’erogazione vera e propria del fascio di radiazioni dura solo pochi minuti.
La radioterapia non è dolorosa né rende radioattivi e si può stare a contatto con gli altri, anche con i bambini, senza alcun pericolo per l’intera durata del trattamento.
Pianificazione del trattamento
La pianificazione è una fase molto importante, perché da questa dipende la possibilità di trarre il massimo beneficio dalla radioterapia. Una volta stabilita l’indicazione alla radioterapia, sarete sottoposti alla cosiddetta TC di centratura. È in questa fase che il radioterapista definisce con la massima precisione le dimensioni e l’orientamento dei campi di irradiazione, proteggendo dalle radiazioni le aree cerebrali limitrofe sane. 
Le immagini così acquisite servono al radioterapista e al fisico sanitario per elaborare il piano di cura. Una volta stabilita definitivamente la zona da irradiare, il campo è delimitato sulla cute eseguendo, con un ago sottile e inchiostro di china, dei tatuaggi puntiformi permanenti, che hanno la funzione di rendere facilmente individuabile l’area da irradiare e assicurare la precisione del trattamento per tutta la sua durata. È possibile fare la doccia o il bagno senza il timore di cancellare questi segni “di sicurezza”.
Il trattamento convenzionale è la radioterapia a fasci esterni (detta anche transcutanea), che consiste nell’irradiare la zona interessata dall’esterno, utilizzando, nella maggior parte dei casi, un acceleratore lineare. Presso centri di alta specializzazione è disponibile una tecnica più sofisticata, la radioterapia conformazionale, che, oltre ad utilizzare un acceleratore lineare, colloca nella traiettoria del fascio di radiazioni un collimatore multilamellare, un dispositivo che consente di conformarlo quanto più possibile all’area da irradiare e, quindi, di orientare sul tumore una dose di radiazioni più elevata, riducendo al tempo stesso l’esposizione dei tessuti sani circostanti e, di conseguenza, gli effetti collaterali. Nel caso della testa, ciò consente di risparmiare strutture critiche quali i nervi ottici, il chiasma, il midollo allungato.
Per taluni casi di tumori cerebrali si può fare ricorso alla radiochirurgia stereotassica. Questa tecnica prevede un’immobilizzazione ancora più accurata mediante un apposito casco o maschera termoplastica e la somministrazione di dosi molto alte di radiazioni in una o massimo cinque sedute. Le lesioni sono irradiate con precisione estrema dall’acceleratore lineare da centinaia di angoli diversi, che s’intersecano nel punto in cui è localizzato il tumore. La radioterapia stereotassica si realizza con macchinari di alta tecnologia.
Effetti collaterali
La radioterapia alla testa può causare disturbi generali (nausea e stanchezza), ma anche più specifici, la cui entità dipende dall’intensità della dose di irradiazione erogata e dalla durata del trattamento. Gli effetti collaterali tendono ad acuirsi nel corso del trattamento, persistono più o meno per una settimana dopo la sua conclusione e poi cominciano gradualmente ad attenuarsi fino a scomparire. In ogni caso è indispensabile informare il radioterapista se dovessero protrarsi per più tempo.
Gli effetti collaterali della radioterapia alla testa possono comprendere:
nausea, vomito: si possono controllare efficacemente con la somministrazione di antiemetici oppure di cortisone (nel caso lo si assuma già, il radioterapista può consigliare di aumentare la terapia in corso);
difficoltà a deglutire: si può controllare con una terapia a base di cortisone (v. sopra);
stanchezza: durante e dopo la radioterapia si possono accusare stanchezza e sonnolenza. La stanchezza può persistere per alcuni mesi dopo la conclusione del trattamento. I medici usano spesso il termine fatigue per descrivere questo senso di spossatezza. In caso di sonnolenza, il radioterapista può prescrivere una terapia a base di cortisone oppure consigliare di aumentare quella già in corso. È importante imparare ad ascoltare il proprio corpo: prendersi il tempo necessario per ogni cosa e riposare molto;
caduta dei capelli: è l’effetto collaterale più importante. Nella maggior parte dei casi i capelli cominciano a ricrescere nell’arco di due-tre mesi dalla conclusione del trattamento, ma se l’intensità delle radiazioni sarà stata notevole e il trattamento prolungato, in taluni casi la perdita dei capelli potrebbe essere permanente;
reazioni cutanee: in taluni casi la cute dell’area trattata si irrita, sviluppando una reazione simile all’eritema solare che di solito compare nelle prime tre-quattro settimane di trattamento e scompare nel giro di due-quattro settimane dopo la sua conclusione. L’entità della reazione cutanea varia anche in funzione della sensibilità individuale. La cute interessata da una reazione cutanea tende a desquamarsi. Non usare saponi e talco profumati, deodoranti, lozioni e profumi perché possono contribuire ad irritarla. Lavare la zona da irradiare possibilmente con acqua tiepida e asciugarla tamponandola delicatamente con un asciugamano. Gli uomini sottoposti a irradiazione della testa e del collo facciano attenzione quando si radono.
Possibili complicanze tardive, che compaiono dopo alcuni mesi e/o anni dalla radioterapia, anche se rare, sono i disturbi della memoria, disorientamento e stati confusionali.”

“E per oggi è tutto da Radio Therapy, non dimenticate di sintonizzare ancora il vostro cervello sulle nostre frequenze dopo il week end! A lunedì allora, e, ricordate il motto: sempre viva la noradrenalina!!!”




sabato 15 luglio 2017

AGL'AMICI


Agl’amici.



Agl’amici che l’ombra muta
Adorna va questo mio verso,
Che la vita mia, lo confesso
Trova pace in quei confini.

C’era un tempo in cui s’era vicini
Dove sembrava normal cosa ‘l piatto
Dove al pianto il riso era riscatto
Ed un circo coi suoi profumi la Vita.

Quand’ancora posso posare
Nell’ombra vostra la mia pelle stanca
A quei giorni la mia mente va. E manca…

Ma poi sereno mi torno a raccontare
Che con gl’anni le distanze non sono che parole
E al crepuscolo poi l’ombra allunga... Basso il sole.


(Firenze, 20 aprile 2016)


domenica 9 luglio 2017


Torino.  “Radio Therapy”.
5 agosto 2016.
“Ben sintonizzati su Radio Therapy, la prima radio che parla direttamente al vostro cervello. Qui potrete ascoltare voi stessi canticchiare dall’interno di una inquietante maschera di plastica le vostre hit preferite, oppure dedicare alle vostre morose gli evergreen dell’amore, quali “only you” dei Platters, “mi sei scoppiato dentro al cuore” di Mina oppure, per i tipi originali che vogliono mandare un messaggio chiaro alla loro ex: “adius” di Piero Ciampi… (che vedete qui sotto...)"

Così mi immagino da poco più di due settimane che potrei iniziare queste sedute. Dunque, il procedimento è semplice: ti chiamano all’altoparlante della sala d’aspetto, entri in uno spogliatoio dove ti prepari, poi ti richiamano da dentro, se sei un tipo educato saluti, se sei un tipo “ok” scambi anche un paio di battute con i tecnici (alla lunga però capisci che non puoi essere originale e senti che quella battuta ti è venuta un po’ “così”, che quell’altra chissà quante volte l’hanno sentita, e così via…), ti sdrai sul lettino di metallo, appoggi la testa su un cuscino speciale che segue la curva del tuo cranio ed ha una larghezza di circa 15 cm, una sorta di mezzaluna, poi ti mettono la maschera personalizzata (ne abbiamo già parlato), e parte la “trasmissione”: “siamo in onda su Radio Therapy, la prima radio che trasmette direttamente sulle onde del vostro encefalo, sul 88.90 delle onde Teta e 100 sulle onde Gamma…”
Le sedute durano una decina di minuti, in cui si sente un suono come quello che producevano i vecchi 386 direttamente dal case, come quello di un pc quando si impalla, e il macchinario che si muove attorno a te. Non è simile ad una TAC, perché non si entra in un tunnel, tubo, dir si voglia, ma è come una grossa lampada da dentista con un puntatore laser. Poi, finita la seduta, ti tolgono la maschera, e te ne puoi andare. Tutto qua. Semplice, lineare, non c’è da aver paura. Se non che durante la prima fase è prevista una regressione di tutte le capacità che avevi faticosamente recuperato nel mese e mezzo precedente, perché si andranno ad infiammare anche i tessuti prossimi al residuo di tumore. Messo in conto. Non mi spavento mica, tanto “ho fatto talmente tanto in quel mese e mezzo che non si noterà nemmeno…”. Così torno a parlare come un robot (anche se tutti gli amici e i familiari mi dicono che non è vero, io sento una regressione almeno di un mese di lavoro, non ho anomie, posso tranquillamente fare discorsi di qualsiasi genere, tranne quando sono stanco, ma nella fluidità ho perso molto), e la gamba lavora come lavorava qualche settimana fa, con momenti di ipertono, trascinandola, e la caviglia non lavora più come quando avevo lasciato Rodello. La mano invece ha perso tanta forza, ma tenendo duro col pianoforte e il contrabbasso sento che non regredisce come le altre funzioni. Non dimentichiamo che è stata la prima a recuperare. Quindi, questo il bilancio di 12 sedute di Radio Therapy. Un po’ più di un terzo, quasi metà ciclo, che prevede 30 sedute. Ma tutto come da copione, la dottoressa ha detto che nella seconda metà del ciclo dovrebbe esserci un miglioramento delle funzioni, e quindi di non spaventarsi. Speriamo. Io intanto continuo con le mie camminate (con mio padre e mio fratello martedì ci siamo fatti un’ora e venti in giro per Torino, li ho fatti sudare, tanto che hanno valutato l’idea di regalare a Giulia uno di quei baracchini a due ruote elettrici su cui ti muovi semplicemente avanzando col baricentro, perché anche lei fatica a starmi dietro), e gli esercizi che mi ha lasciato Daniele, il pianoforte cui ho affiancato un programma di recupero sul contrabbasso, e tra un pisolino e l’altro la lettura. Non mi fa più piacere, anzi lo trovo una penosa pena il sentire al telefono gli amici, perché sebbene provi piacere nel sentirne la voce, il fatto di non sentirmi fluido mi provoca ansia, ansia da prestazione, che è un po’ il mio problema, e mi deprimo. Quindi tengo spesso il telefono offline e comunico più che altro per messaggi. In più ho le chemioterapie, tre pillole da prendersi alle 10.30 del mattino. Che sommate alla terapia anti-epilettica (tre pillole al mattino più quattro la sera), all’anti-depressivo (una pillola la mattina assieme all’anti-epilettico), al cortisone (32 gocce al mattino assieme alla terapia anti-epilettica e all’anti-depressivo), al gastroprotettore (mezz’ora prima di tutte le cose già elencate), all’anti-emetico (mezz’ora prima della chemio terapia): mi danno un bisogno di dormire assurdo. Allora ho organizzato la mia giornata così: sveglia alle 7.30 (la notte seppure vada a letto sempre con un sonno micidiale non dormo mai più di due ore di seguito, guardo continuamente l’ora e mi riaddormento, ma mi accorgo che mi sveglio sempre riposato e anche prima della sveglia, quindi va bene), gastro-protettore sul comodino; scendo a prepararmi la colazione che consiste in: una banana, un caffè-latte con due tipi di biscotti integrali (una quantità incalcolabile), 4 fette biscottate integrali con marmellata/crema di nocciole. Devo pur sempre fare i conti con il cortisone e devo tirare fino all’ora di pranzo perché il Temozolomide, ossia la chemioterapia, ha bisogno di essere presa con almeno due ore di stomaco vuoto perché venga assorbita meglio dal corpo e con un’ora di fame atavica dopo per la stessa ragione. Dopo colazione inizia il balletto delle medicine: anti-depressivo, anti-epilettico (due pillole da una scatola e una da un’altra) e cortisone. Poi scrittura (come stamattina) o pianoforte o passeggiata se Giulia è sveglia con ginnastica varia dopo, o copia delle parti per il disco che ho programmato di fare. Arrivano così le 10, anti-emetico che mi protegge dalle nausee che potrei avere con la chemioterapia, mezz’ora dopo la chemioterapia. Poi per un’oretta passeggiata se non l’abbiamo già fatta (e sono sempre legato ai miei compagni di ventura per le crisi epilettiche che potrei ancora avere) altrimenti un po’ di pianoforte, un po’ di lettura, fino alle 11, quando mi appisolo sul divano. Alle 11.45/12 pranzo, che consiste in cibi sani e nutrienti, facili da digerire, tanta verdura e frutta, che data la stagione (agosto) ce n’è in abbondanza, legumi, riso, pasta integrale. Ho notato che quando mangio cose di questo tipo il mio corpo reagisce meglio a quando mi lascio andare a gozzoviglie varie perché siamo ospiti di qualcuno, si va a mangiare fuori o perché ospitati. Alle 12.30 andiamo in ospedale, radio terapia alle 13/13.30 (c’è sempre una mezz’ora di variante in queste cose), poi a casa pisolino fino a quando riesco. Verso le 16 merenda, con una tisana e biscotti, 16.30/17 studio un po’ di contrabbasso (voglio riprendere il prima possibile con la mia vita), quanto riesco perché con una gamba che “pigola” viene presto mal di schiena. Alle 18 mi metto al pianoforte o usciamo un po’, a fare la spesa, prendere il pane, insomma fare due passi, 19 cena (stesso ragionamento del pranzo). 20 terapia anti-epilettica che consiste in tre pillole di un tipo e una di un altro, 20.30 film o libro, 22.30 distrutto a letto.
Ho notato che ho bisogno proprio di riposo in questa fase, e di fare cose con un certo ordine, disciplina, di non perdermi via, e se potessi essere indipendente sarei più soddisfatto. A Rodello il fatto di poter andare in palestra quando se ne aveva voglia, il fatto di dipendere da qualcuno che c’è sempre ed è sempre sveglio e al tuo servizio, mi aveva fatto dimenticare quanto la dipendenza da qualcuno che non ha i tuoi ritmi sia pesante. Ora non dico che Giulia debba essere al mio servizio, non sarebbe mia moglie e non lo vorrei, mi sembrerebbe di sfruttarla e mi sentirei in colpa, ma se tu hai un ritmo e la persona da cui in questo momento dipendi ne ha altri può essere frustrante, e il non volerne discutere perché ti sentiresti un peso per questa persona lo è altrettanto, e quando ti fermi a pensare e capisci che questa persona e tutte quelle che ti stanno attorno stanno mettendocela tutta per non farti pesare il fatto che si danno da fare per te, entra in gioco la propria volontà di indipendenza e punti i piedi in terra e fai o dici cose di cui ti penti subito, ma proprio per questo giochino dell’indipendenza ci metti un po’ a chiedere scusa e a rassegnarti alla tua nuova identità: malato.

martedì 4 luglio 2017

M.A. (Masturbazione Approvata...)

LA PURCE.

Una Purce sbafatora,
che ciaveva l'anemia,
pe' guarì 'sta malatia
succhiò er sangue a una Signora,
ch'a quer pizzico fu lesta
d'arzà subbito la vesta.
Dice: — Bella impertinenza
de venimme su le gamme!
Chi t'impara a pizzicamme?
Chi te dà 'sta confidenza?
Bada a te, brutta carogna,
se me capiti fra l’ogna... —
Ma la Purce impertinente,
che per esse più sicura
s'era messa a fa' la cura
da la parte de ponente,
ner sentisse di' 'ste cose
fece un zompo e j'arispose:
— Com'è mai che a un certo tale,
che te pizzica l'istesso
tanto forte e tanto spesso,
nun je strilli tale e quale?
Puro quello, a modo suo,
nun te succhia er sangue tuo?
Sai perché? Perché a 'sto monno,
speciarmente a le signore,
j'aritintica l'onore
solamente co' chi vònno... —
La Madama, a sentì questa,
calò subbito la vesta.

(Trilussa)

La crioconservazione del seme.
Eravamo pronti a questa evenienza. D’altra parte ci eravamo informati abbastanza sull’argomento, non perché volessimo nell’immediato avere un figlio, o una figlia, ma perché non volevamo ci si precludesse a tale possibilità per via della chemioterapia. Quindi quando abbiamo saputo dell'esigenza di radioterapie e chemioterapie abbiamo pensato di chiedere per la crioconservazione del seme, temendo in un effetto irreversibile. In realtà poi quando siamo andati dall’andrologo a fare la visita, ha confermato i nostri timori, consigliandoci caldamente di non cercare un figlio durante la chemioterapia e nemmeno nell’anno successivo, e di fare dei controlli in ogni caso prima, ma che, nel mio caso, con un tumore al cervello, la cosa sarebbe stata, verosimilmente, temporanea.
Quindi, nella più grande emozione, in pieno spirito collaborativo, e pieno di entusiasmo, mi affaccio alla prima masturbazione ufficialmente approvata della mia vita. Mi vengono date, in forma del tutto casuale, come se ce le avesse lì per qualsiasi altro motivo, delle riviste (chiuse in una cartelletta). E il dottore se ne va, consigliandomi di chiudermi dentro, e consegnandomi il “barattolino” dove avrei dovuto dimostrare la mia mascolinità, mi guarda pieno di speranze. Penso che non userò mai delle riviste che chissà quante mani hanno toccato. E in questo caso ancora meno. Mi lavo le mani e sono pronto. Primo problema, dove? Mettermi sul lettino, stare in piedi, appoggiato e basta? Scelgo il lettino. Secondo problema. Ho una mano, quella destra, “Federica”, che non collabora ancora. Sebbene possa fare affidamento sull’effetto ben noto al popolo maschile della famosa “mano dello sconosciuto” la cosa al momento mi inquieta e devo reimparare un gesto che da più o meno tre mesi non pratico più. Poi lo studio, asettico e per niente complice. Decido di aprire le riviste. Sono riviste che nemmeno dei camionisti berberi oserebbero sfogliare. Devo più volte capire da che parte si devono guardare perché sono così estreme che… ei funzionano! Vai. La mano collabora, anche se ha poca sensibilità e temo che quando dovrò riempire il barattolino mi possa giocare qualche brutto scherzo. Ma non ci penso e tiro dritto per la mia strada, pensando alla mia onorevole causa. Ecco, dove ho messo il barattolino?! Eccolo! Prendo la mira o “ce lo infilo”? Cielo tocco la plastica! No, aspetta! La mano non ti conosce più piccolo grande amore mio… Aspetta… Nooooo!!! Faccio talmente poco liquido da vergognarmi di me stesso. La frustrazione è alta. Ma mi lavo le mani, apro la porta, e aspetto fiducioso il dottore. “Dottore, basta?”. Lui da buon padre di famiglia prova a rincuorarmi dicendo che in ogni caso un secondo “prelievo” era previsto, che lo fanno tutti, che nemmeno l’ambiente aiuta, che il caldo. E così ci mettiamo d’accordo per un secondo “prelievo”, da farsi però direttamente in laboratorio, il lunedì successivo.

Il lunedì mi preparo come non mai. Non mi sono allenato alla clinica perché è necessario astenersi dal sesso e dalla masturbazione. Scherzo con mia moglie sul fatto di dover andare da Rodello a Torino per farmi una sega. Ho dormito bene. Ho fatto una bella colazione. C’è bel tempo. Tutto sembra presagire una buona performance. Alle 8 ci presentiamo al laboratorio. Si presentano due dottoresse e mi dicono con sguardo sornione che mi stavano aspettando. mmm quando mi viene detto così... Mi consegnano il solito barattolino, mi indicano un bagno dove poter dare il meglio di me, mi indicano le solite riviste (che in questo caso sono molte di più e ho potuto scegliere tra “poppe al vento” o “sederi selvaggi”, io mi chiedo pieno di stupore perché non riesca a trovare “dottoresse con fighe pelose”, ma poi lo trovo e passo oltre. I titoli ovviamente sono stati edulcorati per un pubblico delicato che penso sia quello che entrerà in possesso di queste righe…), e mi lasciano solo. L’ambiente è anche peggio dello studio, qui abbiamo un water da una parte, dove decido che mai mi sarei seduto, dall’altra un lavandino, poi la finestra con il suo davanzale, dove decido di appoggiare le riviste per farmi la... lasciamo perdere. Il caldo è micidiale, ma dato che siamo al piano terra non posso certo aprire la finestra. Mi do da fare con “Federica”, sono pronto, sono deciso a non mollare e non rifare gli errori dell’altra volta. Sono cambiato, ora sono maturo per una relazione duratura e soddisfacente per entrambi. Non mollarmi proprio ora, sul più bello. Vai il barattolino l’ho lì in bella vista. La mira è buona. Anche l’iniziativa non manca. E… Vai! Riuscito! Ora mi lavo le mani, chiudo le riviste nella loro cartelletta, mi rilavo le mani, e poi esco con il barattolino trasparente a mostrare a tutto il reparto che sono uomo. Consegnerò il contenitore con il liquido alle dottoresse che mi guarderanno insaziabili del mio fascino per l’ultima volta e me ne andrò con mia moglie sotto braccio e invidiata e odiata da tutto il reparto. Si, sono soddisfazioni.


sabato 1 luglio 2017

29 aprile 2016 vs 29 aprile 2017 !

Oggi non ho voglia di parlare di quanto mi è successo un anno fa. Ma di qualcosa che ho costruito grazie a quello che mi è successo un anno fa. Esattamente il 29 aprile 2017, ad un anno esatto dalla prima crisi epilettica, sono entrato in studio con un "manipolo" di amici/musicisti e ho fatto questo disco, prodotto da NOTWORK.PRD... ma lasciate che vi racconti...

Io, come ho già detto, faccio il musicista. Ho abbandonato il jazz anni fa, perché "o fai una roba bene o non la fai". Però per divertimento incido ancora qualche disco con degli amici (andate a vedervi la mia discografia sul mio sito www.simoneprando.it , così potete anche conoscermi meglio e ascoltarvi un po' di musica mia...). Durante quest'anno ho scritto, scritto, scritto... musica ovviamente, tanto che, ad esattamente un anno dalla prima crisi epilettica (29 aprile 2016), che ha scatenato tutto sto casino, sono entrato in studio, sbattendomene della mano che ancora non avevo a posto, invitando Gino Zambelli col bandoneon, Marco Tiraboschi con la chitarra, Achille Succi col clarinetto, mio fratello (Fabrizio) con l'altra chitarra, e io col contrabbasso e abbiamo registrato. Tutto senza nemmeno una prova. Se non che avevo mandato le parti tempo prima e tutti hanno avuto modo di guardarsele, anche se c'era un'atmosfera tale in quello studio (Digitube studio, a Mantova, dal caro Carlo Cantini) che sicuramente sarebbe uscita della musica straordinaria lo stesso. I titoli dei pezzi riguardano la storia di quest'anno: AFASIC, FLATLANDIA, SEPTEMBER, OPPORTUNITY, THE LIMPING CAMEL, EPILEPSY e infine WITH A STAR IN THE BRAIN...
AFASIC è un pezzo "incasinato", che col tempo si "ordina" da se... (quella che sentite in sottofondo). E' esattamente quello che prova un afasico nella sua testa, all'inizio un gran rumore di fondo, anche se su una base (bandoneon) che sta lì e rappresenta il fatto che tu capisci tutto, però non riesci ad esprimerlo, poi entra il basso ed è sempre più chiaro il disegno del bandoneon, quindi parte la prima frase (suonata anche dall'amico violinista Vincenzo Albini) che rappresenta la difficolta di voler dire qualcosa che abbia senso, e finalmente ce la fai... poi ancora rumore... poi la seconda frase... poi ad un certo punto rimane da solo il basso e comincia a riordinarsi tutto! (se volete riascoltarla basta aggiornartela pagina schiacciando F5)
FLATLANDIA, invece, è ispirato al libro di Abbot. E per me ha un valore di "punti di vista", ogni tanto bisogna fermarsi e guardare le cose come se si fosse vergini del mondo, e quindi accettare altre dimensioni e forme, e questo è quello che ho fatto io "grazie" a questo tumore...
SEPTEMBER è quando abbiamo avuto finalmente un mese di pausa da tutte le cure, terapie. E siamo stati a Cervia. Quei posti mi fanno venire in mente le feste in piazza romagnole e i complessi di liscio, quindi ho scritto un tango, ma non un tango normale, sentirete...
OPPORTUNITY è quello che fin da subito mi sono detto per sopravvivere col sorriso a questa storia, un opportunità di crescita.
THE LIMPING CAMEL riguarda un sogno che ho fatto a Torino, dove ero un grosso dromedario con la gobba sotto la pancia (si, diciamolo, avevo un attacco di diarrea dovuto alle radioterapie e chemio assieme...), il fatto poi che è zoppo questo dromedario (limping) è perché avevo una gamba che retrocedeva per colpa ancora delle radio, perché mi infiammavano la zona della gamba, e per mettere in musica "sta roba" ho pensato ad un ritmo zoppo più un aria mediorientale...
EPILEPSY è la storia del mio primo attacco epilettico. All'inizio tranquillamente sul divano, poi diventa sempre più un ritmo e un'armonia complicata sui soli, per finire con un solo di chitarra elettrica con distorsori che va via sfumando, il che rappresenta la mia perdita di coscienza.
WITH A STAR IN THE BRAIN, dove io non suono, è solo un canovaccio, dove ho chiesto ai miei amici di suonare a soggetto, quindi alle chitarre di accompagnare con armonici liberi, al clarinetto e bandoneon invece che avevano sotto gli occhi una "parvenza" di tema di andare "a cuore". E proprio grazie a questo, chiamiamolo espediente, ho voluto sentire cosa uscisse, e mi sono reso conto che sembrava lo spazio infinito... quindi come dice la poesia della Dickinson che ho inserito nel libretto: "THE BRAIN is wider than the sky (...)", "il cervello è più ampio del cielo..."

La grafica del cd è stata curata da Simone Barbiero, altro grande amico ed è FICHISSIMA!!!

Un assaggio che stuzzicherà il vostro appetito ve lo lascio dai! Qui sotto!







Un dono!

Solo perché uno ha un cancro non è che abbia sempre ragione. Cioè se Salvini avesse un cancro sarebbe pur sempre Salvini. Se Hitler avesse a...