sabato 10 giugno 2017

La crisi




Il 29 aprile mentre Giulia si provava l’abito da sposa a Torino io ero a casa dei miei futuri suoceri a studiare. Nel pomeriggio dopo aver mangiato mi sono sdraiato sul divano a vedere la partitura (“Morte e Trasfigurazione”, di Richard Strauss), e dopo un po’ ho sentito un crampo sotto il piede destro. Non mi sono allarmato, sono solito avendo i piedi piatti a questo genere di cose, ma poi, subito ho capito che c’era qualcosa di diverso, la gamba destra ha cominciato a tremarmi, il braccio (sempre il destro) si è alzato, avevo il fiato corto, e mi si piegava il collo con convulsioni verso il braccio. Ho visto poi il braccio che sventagliava, in una sorta di confusione generale ho temuto avessi un infarto, e ho pensato a fare “la stecca” con la mano. Sapete quel gesto che si fa tenendo medio e pollice uniti e facendo colpire all’indice il medio? Bene, mentre mi succedeva questa cosa io ho pensato a questo. Forse per testare il controllo del corpo. Non lo so. Ma io volevo fare “la stecca” quando ho avuto la mia prima crisi epilettica.
Poi ho perso conoscenza, non so per quanto. Mi sono risvegliato sul divano, mi ero pisciato addosso. Ero tutto dolorante, e spaventato, e confuso. Cosa mi era successo? Avevo la lingua e le guance gonfie. Sono salito al piano di sopra, mi sono cambiato, ho chiamato Giulia (che, lo ripeto, era a provarsi l’abito da sposa…). Aveva il cellulare spento. Ho chiamato sua sorella. Non mi ha risposto. Ho chiamato sua mamma (voi direte perché non chiamare un’ambulanza? Semplice, non so l’indirizzo di casa dei genitori di Giulia, abitando in collina ad Alba non me ne sono mai preoccupato…), che mi ha risposto, e mi ha passato Giulia. Ho in qualche modo spiegato quel che mi era successo, lei mi ha detto che avrebbe chiamato sua zia e che mi avrebbe portato al pronto soccorso, di stare tranquillo. Mi sono steso sul letto, dopo un po’ è arrivata Antonella, la zia di Giulia, e in dieci minuti eravamo al pronto soccorso.
Ho spiegato in qualche modo (ero confuso, stupito, spaventato…) al triage quello che mi era successo, mi hanno messo su una barella, e lì ho avuto la mia seconda crisi epilettica. Appena in tempo per essere sedato con del valium, e tenuto tre giorni sotto Tavor. Tre giorni in stato crepuscolare, di cui non ricordo nulla, se non che provavo a vedere un film con mio padre, un film con Tognazzi e Dorelli, che mi hanno fatto una TAC, una risonanza magnetica, che mio fratello è sceso con Elia, un grande amico di tutti e due, non ricordo altro. Nemmeno della paura di Giulia, dei miei, di mio fratello. Solo che dovevo scrivere a Daniele Rosi, mio collega e amico, che non avrei potuto esserci alla "Leonore" a Pistoia. E in seguito lui mi disse di aver ricevuto due o tre volte lo stesso genere di messaggio. Segno che ero per davvero di fuori…
Lunedì 2 maggio, il dottor Tatoni mi chiama nel suo studio, chiedo che venga anche Giulia, la voglio di fianco qualsiasi cosa abbia da dirmi. “Signor Prando, dagli esami fatti risulta che lei ha un tumore al cervello, un glioma…”. Il fumetto perfetto per quello che è stato il nostro pensiero in quel momento sarebbe “GULP”, ma chiesi solo “qual è la cosa peggiore che mi può capitare…?”, “Signor Prando, lei lo sa in medicina qual è la cosa peggiore che può capitare…”.
E così, tutti i progetti, tutta la chiarezza e meticolosità degli impegni, l’equilibrio trovato fino ad allora passò in secondo piano. Lasciò spazio alla sensazione di paura, di smarrimento, di incognita. Cosa dovevamo fare? Il dottor Tatoni ci aveva subito ispirato fiducia, con i suoi modi gentili ma allo stesso modo diretti. Gli ho chiesto quale sarebbe stato il percorso da seguire, lui ci ha detto che andava operato, il prima possibile. Che era situato in una posizione che poteva lasciare dei segni soprattutto alla gamba (tutt'ora a un anno di distanza la caviglia non si muove ancora...), e in prossimità dell’area di Broca, deputata al linguaggio, ma non abbastanza da dare preoccupazioni, ma che solo con una risonanza magnetica funzionale su un macchinario da tre tesla (a Torino, mentre ad Alba avevano solo la risonanza da un tesla e mezzo) si sarebbe potuto vedere qualcosa con più certezza. Che andavano fatti ulteriori accertamenti e che ci si sarebbe dovuti affidare al reparto di neuro-oncologia di Torino, o dove ritenessimo più opportuno noi. Io ho chiesto mi venisse data una terapia anti depressiva e ansiolitica, sapevo quanto fosse importante in questi casi l’umore. “Bombatemi di antidepressivi…”. Dissi proprio così.
Successe tutto così in fretta che non so descrivere altro. E i tre giorni prima li ho passati sotto Tavor, un po’ presente un po’ no. Li ho vissuti “di sponda” dai racconti di Giulia e dei miei. Come quando durante un’erezione  (il pene che diventa duro, per i non pratici...) volevo fare vedere tutto all’infermiera di turno, con mio padre che pensava tenessi una bottiglietta d’acqua sotto le lenzuola e Giulia imbarazzatissima che continuava a tirarmi su le lenzuola per coprirmi e io le tiravo di nuovo giù, insistendo: “be ne avrà già visti…”
Quel che mi fa ridere di tutta questa storia è che solo mercoledì 27 aprile avevo detto a John, un amico conosciuto da poco a Padova, per scherzo ovviamente, che io ero uno di quelli che preferisce non andare a fare tanti controlli per non sapere se ho delle cose che non vanno, che se non le sai non te ne preoccupi. Questo tumore chissà da quanto era li. Mi avrà sentito? Si sarà voluto far sentire, due giorni dopo, per mettermi in guardia da che crescesse troppo? Era un tumore che potrebbe aver condiviso con me i momenti più significativi della mia vita: la nascita di mio fratello, la morte dei miei nonni, il mio primo bacio, l’incontro con Giulia, la mia maturità, l’università. Non si può sapere da quanto fosse li. Ma quel che ci interessava era sbarazzarsene al più presto.
Ricevuta la secchiata fredda, dopo un primo momento di sconforto e paura, abbiamo subito reagito in maniera costruttiva. Tanto non sarebbe servito a nulla lamentarsi, ovvia la paura, naturale direi, quando associ le parole “tumore” e “cervello” penso ci sia un’area dell’amigdala che cominci ad agitarsi e preda di se stessa vada nel “mazzo”, come si suol dire. Però c’era da ben sperare secondo il dottor Tatoni. Ed avevamo deciso di fidarci e affidarci a lui. In questi casi penso che la fiducia nei confronti di chi ti segue sia tutto. D’altra parte se hanno studiato 10 anni e più per quel campo, se sono riusciti ad avere quel posto, non sempre sono degli incompetenti o dei baroni, molto spesso invece è gente preparata che sa il fatto suo. E il consiglio che mi sento di dare è di non accendere internet fino a quando non si è finita questa lunga battaglia, e non cercare nulla che non sia alla portata di quello che si sia studiato, perché altrimenti si aumenta la confusione che in questo momento è l’ultima delle cose che serve. In questo momento bisogna avere i piedi ben piantati per terra, sapere che si ha di fianco dei professionisti, che se ti dicono una cosa vuol dire che è quella che va fatta, affidarsi ad un grosso ospedale che ne vede tutti i giorni di casi simili (maggiore il numero di casi, maggiore l’esperienza che si acquisisce). E poi lasciarsi andare e cominciare a vivere la situazione come un’occasione di crescita personale. Uno degli eventi più importanti della tua vita. L’incontro con la morte, che a me è successo a 31 anni, e che mi sta aiutando a vivere.
Si diceva, in questa che è la cronistoria emotiva del mio tumore al cervello, che dopo questa secchiata fredda abbiamo subito reagito, su tre fronti. Primo fronte, la visita a Torino all’ospedale Molinette, su consiglio del dottor Tatoni. Secondo fronte, un consulto privato dal dottor Modena, neurochirurgo, ex primario a Cuneo ora a Bergamo, che visitava ad Alba ed era in contatto con il mio futuro suocero. Terzo fronte, il migliore di tutti, anticipare la data del matrimonio già previsto.
Così il 5 maggio, giovedì, sono andato a Torino, accompagnato da mio fratello Fabrizio che mi ha seguito sulla macchina della croce rossa, e la mia famiglia, con Giulia, dietro, in visita dalla dottoressa Ferrari, e con lei c’era schierato l’intero gruppo interdisciplinare cure, il G.I.C., ossia la professoressa, i neurochirurghi, i radiologi, e gli studenti. Ci hanno chiesto se fosse possibile che questi ultimi assistessero alla visita, io penso che sarebbe stato stupido rispondere no, che servono dei buoni medici, e solo facendo così si possano formare, quindi nessun problema. Fissiamo una risonanza magnetica funzionale, ovvero una risonanza magnetica facendo dei compiti, come muovere le dita, parlare, per vedere quali aree del cervello si attivano, e mi parlano della possibilità di essere operato da sveglio. Io sono dentro con Giulia, che sarà presto mia moglie. Decido di affrontare l’intero percorso solo con lei, non sto tagliando fuori la mia o la sua famiglia, ma per evitare confusione o ansie cerco solo la sua presenza. Ha le spalle per farlo. Mi fido di lei. È tosta. Penso che senza di lei tutto questo sarebbe stato molto difficile da affrontare. E anche la decisione di sposarci lo stesso, nonostante tutto, e farlo diventare un “perché” tutto questo, sia stato una delle cose migliori che abbiamo deciso di fare e ci ha aiutati molto in quei momenti di sconforto, che ovviamente ogni tanto saltavano fuori. E guarda caso è stata proprio lei a chiedermelo, su quel letto d'ospedale ad Alba. Io l'avevo fatto ben due volte, la prima quando era a Bratislava, poi mi sono cagato addosso, poi a Padova, e doveva essere il 21 maggio 2016. Invece è stato 11 giorni prima, all'osteria Italia, da Renato... Ma questa è un'altra storia che vedremo poi. 
Così ce ne torniamo da Torino convinti di farmi operare lì. Il giorno dopo vedo il dottor Modena, che ci seguirà “dalla distanza” per tutto il mio percorso, dimostrandosi una persona disponibile e professionalmente preparata, che si è interessata a quale sarebbe stata l’equipe medica che mi avrebbe operato a Torino e consigliandocela. Non ci ha mai messo il tarlo del dubbio, e questo ci ha aiutati molto, perché, in questi casi, come dicevo anche in precedenza, se non ti riesci ad affidare a delle mani (ovviamente esperte e dopo aver fatto le dovute considerazioni) e non ti abbandoni a loro difficilmente affronti in maniera serena un’operazione del genere. Oh, ti aprono il cranio, con un trapano fanno due buchi poi con una sega circolare fanno un taglio a ferro di cavallo di 15 cm per 10 cm ai due lati paralleli, poi con un divaricatore ti aprono quello che è una sorta di sportello come quello di un bagagliaio, e ti infilano le mani dentro al cervello. Se non ti riesci a fidare sei spacciato.


Così ci salutiamo nell’attesa di ricevere una telefonata da Torino che ci avrebbe informato della data di questa risonanza magnetica funzionale. Nel frattempo i preparativi del matrimonio, che abbiamo celebrato in comune ad Alba il 10 maggio, esattamente il quarto giorno dopo la mia dimissione dall’ospedale di Alba, in forma ridotta, una trentina di invitati, ed è stato il giorno più bello della mia vita. Ovviamente speriamo di rifare la festa come ce l’eravamo immaginata, più avanti, quando tutto sarà finito, e per scaramanzia abbiamo deciso di non metterci gli abiti che avevamo preparato (anche perché il mio  era a Padova e quello di Giulia a Torino non finito) e di sposarci così, alla bell’è meglio. Eravamo comunque bellissimi… C’è stata musica (Gino, Marco e Fabrizio hanno suonato fino allo sfinimento e non li ringrazierò mai abbastanza), risate, c’erano Gabriele, Claudia e la bella Gloria, c’erano Meme e Laura, Christian e Roberta, Silvia, poi c’erano i parenti più stretti, e per un giorno intero non si è pensato a quel bastardo che avevo in testa. Non c’è stato spazio per lui.





Solo per la felicità. Durante i giorni successivi siamo stati letteralmente invasi dagli amici: Daniele, Martino, Meme, Laura, Gabriele, Elia, Victor, Ester, Davide, Laura, Paolo, Riccardo, Dario… e quelli che non sono riusciti a venire a trovarci ci tampinavano via telefono, messaggi…  diciamo la verità, non ci siamo stufati per niente!




Poi abbiamo telefonato noi a Torino, perché l’attesa era snervante e ogni suono di telefono era ansia allo stato puro. E ci hanno fissato la data. Il 20 maggio. In realtà quando andammo il 20 maggio per questa risonanza scoprimmo che era stata fissata l’11, e che non ci avevano avvisato. La cosa ci ha fatto arrabbiare non poco, ma in un grande ospedale può succedere che un anello manchi al suo dovere. Ma è ingiusto nei confronti del paziente, e andrebbe per lo meno chiarita la situazione chiedendo scusa. Ma tant’è. Dall’11 al 20 sono nove giorni d’attesa in più, in cui ti passano per la testa mille cose. Oltre al tumore. In cui ti ripeti che la puoi vivere come un’opportunità, e non come una maledizione. E poi hai gli amici che non ti mollano un secondo, e io devo dirlo proprio ho avuto forse i più bei giorni della mia vita in questi nove giorni. E non ho avuto tempo di preoccuparmi. In realtà l’ansia per questa telefonata che doveva arrivare, per l’operazione, per il decorso postoperatorio, c’era, ma non trovava spazio se non in pochi momenti della giornata: quando raccontavo quello che avevo avuto e quali i rischi conseguenti l’operazione. Ma l’ho raccontato talmente tante volte, ogni amico mi telefonava e mi chiedeva, e poi ai tanti che sono venuti a trovarmi, che penso di aver elaborato la paura e l’ansia come in una terapia psicoanalitica. E alla fine mi sono convinto davvero di quell’opportunità che mi stava dando questo tumore.
Il 20 ho la risonanza magnetica funzionale. Decidono di non farmi fare le prove verbali. E di operarmi in anestesia totale.
Il 24 vengo ricoverato alle Molinette di Torino. Entro alle 15.30. L’operazione è fissata per il 26. Il 26 maggio 2016. 28 giorni dopo la crisi epilettica che ci ha fatto entrare in contatto con il tumore. Che ce l’ha fatto conoscere.



THE BRAIN IS WIDER THAN THE SKY.

Il Cervello è più ampio del Cielo—
Perché — mettili l’uno accanto all’altro —
L’uno contiene l’altro
Con facilità — e Te — inoltre —

Il Cervello è più profondo del mare —
perché — comparali — Blu col Blu —
Come le Spugne — al Secchio — fanno
L’uno assorbe l’altro —

Il Cervello ha giusto il peso di Dio —
Perché — dividili — Libbra per Libbra —
Differiranno — se lo fanno —
Come la Sillaba dal Suono —

(Emily Dickinson. Traduzione di A.Rosselli).

Un dono!

Solo perché uno ha un cancro non è che abbia sempre ragione. Cioè se Salvini avesse un cancro sarebbe pur sempre Salvini. Se Hitler avesse a...