sabato 17 giugno 2017

Figa Pelosa

La seconda notte dopo l’operazione si ferma ancora mio padre. Stessa storia della notte prima. Ansia per la flebo, per il pappagallo, e io incapace se non di dire qualche “vaffanculo”, qualche “va a cagare”, “va via”, e lui che non capisce e che mi sorride pensando che scherzi. La mattina chiedo di Giulia e mi dice che è fuori dal reparto. Non gli credo, penso mi stiano trattando come un poverino, come un bambino, come uno che non capisca, e la cosa mi fa infuriare, perché cognitivamente ci sono, capisco tutte le cose, continuo a dire che non mi si debba parlare più lentamente, o più scandito, ad alto volume, che capisco tutto, e che è un problema di afasia, che “è il normale decorso del trauma postoperatorio” (questa me l’ero preparata in una notte, assieme all’altra frase che ripetevo a Giulia: “il più bel giorno della mia vita fu quando mi sposai”). Lui che non sapeva cosa fosse l’afasia (in produzione) mi guardava sorridendo e spezzando i biscotti nel caffelatte dicendomi che quando avessi finito sarebbe uscito e avrebbe chiamato Giulia. Non gli credevo, allora ho mangiato in fretta e gli ho detto che se ne andasse e facesse entrare Giulia. Non c’era. Come sospettavo mi stava prendendo in giro. Magari in buonafede, credendo di fare il mio bene. Ma mi stava prendendo in giro in un momento che non mi andava di essere preso in giro. Sono agitato.
La notte dopo la passo ancora con mio padre. Un’infermiera capisce la situazione e gli chiede di lasciarmi da solo che ho bisogno di tranquillità. Il giorno dopo riesco a mettere assieme la frase “non voglio qui i miei genitori, non perché non gli voglia bene, ma perché non sanno gestire la situazione”. Giulia glielo dice a pranzo. Con grande pena. Ma mio padre capisce e accetta la mia richiesta. Da questo momento si fermerà mio fratello a fare le notti. Grande persona. Mio fratello che ho visto nascere, avendo 8 anni meno di me, e che valuto una delle persone più importanti nella mia vita.

In un momento che rimango solo con una delle dottoresse del reparto le prendo la mano, e sforzandomi per chiederle qualcosa, o semplicemente per ringraziare (ringraziavo continuamente tutti...), insomma per dirle una cosa che non ricordo nemmeno più, mi viene in mente “figa pelosa”. Non posso non dirlo, perché quelle due parole sono troppo attraenti, escono fluide, e so che se lo dicessi farei una figura di merda ma poi si sbloccherebbe quello che vorrei dire. Le dico. Eccole, signore e signori, un bel “FIGA PELOSA” alla dottoressa, che pur conoscendo la problematica della coprolalia non accenna nemmeno ad un sorriso e se ne va via sospettando probabilmente del come abbia saputo che si fosse dimenticata di depilarsi proprio quel fine settimana. Quando arriva Giulia in qualche modo gli racconto la cosa e scoppiamo a ridere per almeno una mezz’ora. E siamo così a lunedì 30 maggio.
Il 30 viene la fisioterapista dell’ospedale, per una valutazione. Gamba ipertonica e braccio ipotonico. Non viene invece la logopedista. Io vado un po’ meglio con la parola, ho cominciato a fare dei cruciverba con mia mamma, lei mi dice le definizioni e io cerco le parole. È uno sforzo immenso, ma sento che farà bene. Ridiamo tanto, quando non mi viene una parola gliene dico un’altra che invento di ugual numero di lettere e le incasino lo schema. Le ho raccontato la storia della “figa pelosa” e quando vede la dottoressa a cui gliel’ho detto non può trattenersi dal ridere. Dico che va un po’ meglio con la parola ma non è che riesca proprio a fare dei discorsi. Sembro più un robot con una ventina di parole nel suo lessico, prosodia assente (intonazione), piatto. Tendo a ripetere l'ultimo suono che sento (Infermiera: maccheroni alla Cavour con cipolle di Tropea e molluschi della Papuania o brodino? Io: brodino...Dottoressa: Le fa male qui, si o no?Io: NO. Stessa domanda con invertite le risposte da si o no in no o si. Io: SI). Con i cruciverba riacquisto un po’ di lessico, per recuperare buona parte delle parole invece devo aspettare di ricominciare a leggere. Anche se Giulia inizia a leggermi dei racconti di Tabucchi (“Sogni di sogni”, regalatomi da Luisa) e io comincio ad immagazzinare di nuovo nel mio lessico qualche parola il ripescarla ha le sue difficoltà. Faccio una TAC e un Elettro Encefalo Gramma. La TAC evidenzia un edema piuttosto grande, mi bombano di cortisone, che mi fa venire una fame della Madonna. Perché quello che non ti dice nessuno è che con il cortisone ti viene fame. Ma ti danno la stessa quantità di cibo del tuo vicino di letto che non ha una terapia che preveda il cortisone. E lui magari avanza roba nel piatto e tu vorresti mangiarla ma non ti osi. O ti fa schifo. O tutte e due le cose. E accetti di rimanere con la fame. E mangeresti le braccia di chi ti viene a trovare.  


Un dono!

Solo perché uno ha un cancro non è che abbia sempre ragione. Cioè se Salvini avesse un cancro sarebbe pur sempre Salvini. Se Hitler avesse a...